Sono infatti indagate quelle forme espressive che rendono il messaggio evangelico esplicitamente più vicino agli uomini e più comprensibile. Lo scopo è mostrare non soltanto il linguaggio iperrealista, caro alla chiesa, ma anche il concettuale, l’astrattismo e altre forme d’arte che comunicano il sentire dell’artista che vive il proprio tempo e si accosta al sacro con il proprio vissuto. Proprio grazie a un papa in grado di accorgersi some anche gli artisti
moderni potessero mettersi al “servizio della verità divina” con tutto il loro talento. La mostra è anche un’occasione importante e unica per ripercorrere la storia degli ultimi tre concili dell’età moderna che hanno determinato nella storia del Vaticano radicali cambiamenti, sia sul fronte teologico – dottrinale, sia sul versante artistico, appunto, portando importanti ventate di innovazione.
Il rapporto di Paolo VI con l’arte è declinato dalla sua collezione donata dopo la morte del pontefice dal suo segretario personale, don Pasquale Macchi, all’Istituto Paolo VI di Concesio, Brescia, città natale di Montini, gestita dal 1987 alle cure dell’associazione “Arte e Spiritualità”. Ci sono pure opere provenienti dalla Fabbrica di San Pietro e da alcune collezioni private grazie al sostegno dell’Università San Raffaele Roma. Tra i dipinti, i disegni, le incisioni, le stampe, le sculture, le medaglie, i lavori di Giacomo Manzù, Renato Guttuso, Salvatore Fiume, Jean Guitton, Francesco Messina una cui scultura apre la kermesse.
Fino al 17 febbraio, Museo di Roma (Palazzo Braschi, ingresso da Piazza Navona 2. Orari: martedì-domenica 10-19.
Tra i pezzi, eccone uno firmato da Hansing Ernst Gunter, una tempera su carta del 1969 che rappresenta Paolo VI raccolto in preghiera (foto).