Progetto Alptrees: come gestire gli alberi non indigeni nelle aree alpine

alptreesObiettivo del progetto Alptrees è conoscere i rischi ma anche le opportunità degli alberi non nativi sulle Alpi, ovvero quelle specie arboree introdotte per scopi ornamentali ma anche perché più resistenti ai cambiamenti climatici (prima e dopo la scoperta dell’America). La Fondazione Edmund Mach di San Michele all’Adige ha fatto il punto con esperti internazionali all’inizio di maggio. Già, perché questi alberi “stranieri” possono pure causare problemi ecologici, sfuggendo agli ambienti urbani, e, diventando selvatici, non è difficile che entrino in competizione con le specie autoctone, spesso soppiantanalptreesdole addirittura e conquistando i diversi areali. Il risultato? Una significativa trasformazione degli equilibri degli ecosistemi. La soluzione (o almeno il “tentativo” di soluzione) è studiare attentamente questi alberi esotici e monitorarli per creare adeguati piani di azione e gestione. Il progetto europeo Alptrees ha proprio questo scopo, cioè maggiore conoscenza per contribuire ad una strategia transnazionale europea finalizzata ad una loro gestione sostenibile (in inglese “Non Native Trees”, NNT) indagando benefici e potenziali rischi.

Il progetto, coordinato dall’Istituto di ricerca forestale, rischi naturali e paesaggio di Vienna, accanto ai partner istituzionali francesi, tedeschi, austriaci e sloveni, è rappresentata in Italia dal Centro Ricerca e Innovazione della Fondazione Edmund Mach. A sua volta, il Centro coordina il Workpackage “Policy implementation, stakeholder engagement & capacity building” del progetto. Altri soggetti importanti italiani sono il Comune di Trento e il Consorzio Langhe Monferrato e Roero, mentre il ruolo di “osservatore” è svolto dal Servizio foreste della Provincia autonoma di Trento.

alptreesLe specie arboree autoctone, nello Spazio Alpino Europeo, cioè le regioni dei paesi europei che si affacciano sulle Alpi, sono 150 contro le oltre 500 di quelle non autoctone. Un gruppetto consistente, tra cui rispondono all’appello robinia, ailanto, acero americano, ciliegio tardivo, abete di Douglas, pioppo ibrido, olmo siberiano. Come si accennava prima, i vantaggi di queste specie possono essere una migliore resistenza e adattamento ai cambiamenti climatici, contribuendo anche alla bioeconomia delle zone in questione e alla riduzione dei rischi di eventi naturali distruttivi. Il problema è che l’albero non autoctono può diventare invasivo tanto da abbattere la biodiversità autoctona e il funzionamento dell’ecosistema.

Tuttavia, lo sforzo degli studiosi è quello, detto in soldoni, di “utilizzare” al meglio le potenzialità di questi alberi non nativi, appunto attraverso una strategia transnazionale unificata sulla gestione e sull’uso responsabile delle specie, condividendo linee guida comuni per le potenziare le buone pratiche di gestione, da segnalare anche ai decisori politici.