Quel piccolo mondo antico di San Lazzaro degli Armeni

Serve il vaporetto numero 20 da prendere alla fermata San Marco San Zaccaria per arrivare in una ventina di minuti a San Lazzaro degli Armeni e al suo monastero Mechitarista. Da dove? Dall’affollata Venezia che in questa calda estate, pur non così “piena” come gli altri anni pre-Covid, fa comunque desiderare di allontanarsi dalla “pazza (più o meno) folla”. E San Lazzaro degli Armeni, questa isola della laguna, è davvero l’ideale. Per mettere piede sul suolo che è diventato la casa dell’abate Mechitar di Sebaste dal 1717, bisogna però prenotarsi, per una visita guidata all’interno del Monastero, cuore e anima della cultura e della religione del popolo armeno (per informazioni: 0415260104 o [email protected]). Ancora adesso, tanto per dire, per entrare a far parte della comunità monastica di San Lazzaro, bisogna essere discendenti di una famiglia armena.

San Lazzaro

L’atmosfera sembra davvero proiettare in un’altra dimensione (ma questo capita spesso, gironzolando nella Laguna), a cominciare dagli ospiti sul vaporetto, una decina per essere larghi. Appena si scende e si supera il cancelletto d’entrata, dopo essersi avvicinati in modo decisamente slow a San Lazzaro, ecco un altorilievo dedicato niente popodimeno che a Lord Byron “amico del popolo armeno e morto per la liberazione della Grecia”, come dice la storia. Byron aveva una stanzetta in cui venne a studiare l’armeno, producendo anche un dizionario nella sua lingua. E anche questo spazio fa parte ora della grande collezione di tesori che fanno parte del patrimonio di San Lazzaro: oggetti provenienti dai paesi più disparati, tanto per dire, persino una mummia con il suo look di perline e soprattutto migliaia di volumi antichi rigorosamente conservati (c’è anche una stanza pressurizzata in cui si conservano i pezzi più pregiati e bisognosi di particolare attenzione) che tutti possono consultare, in seguito a una richiesta adeguata, ovviamente.

Ma chi era l’Abate Mechitar e come ci è finito a San Lazzaro? L’isola in realtà fin dall’anno 1000 era stata sede dei Benedettini e poi da diverse congregazioni religiose, trasformandosi pure in un un ospedale per i poveri, un lazzaretto d antica memoria. Fu con questo monaco armeno che riprese vigore, i primi anni del ‘700: Pietro Manuk, che assunse il nome di Mechitar (cioè il consolatore), in fuga dalla terra d’origine, ci arrivò con un piccolo gruppo di altri religiosi anche per scappare dalla venuta degli Ottomani in Grecia dove si era rifugiato. Questo perché aveva conosciuto tra gli altri Alvise Sebastiano Mocenigo, ammiraglio poi doge, che gli aprì le porte dell’isola lagunare. Lì Mechitar divenne anche architetto, costruendo un monastero, restaurando la vecchia chiesa in rovina, edificando gli altri locali che poi trasformò in sedi perfette per pinacoteca e biblioteca, con migliaia di manoscritti miniati, calamite (ancora oggi) di immagini e pubblicazioni legate alla cultura armena. Non solo: San Lazzaro fino a pochi anni fa era anche una tipografia in cui si stampavano volumi in armeno e in altre lingue di tutto il mondo, in una intensa attività di traduzione. Insomma, l’incanto di un mondo antico straordinariamente moderno dove si è ancora in grado di conservare quello che di più prezioso abbiamo, la storia, la cultura, la religione di un popolo ma che ovviamente appartiene a tutti noi.