Antonio Pennacchi, fascio e martello

Tutti lo hanno ricordato, adesso che se ne è andato, soprattutto, per il suo “Canale Mussolini”, con cui ha vinto il Premio Strega qualche anno fa, ma qui, Antonio Pennacchi, lo scrittore operaio o operaio scrittore, scegliete voi, lo vogliamo ricordare per “Fascio e Martello – Viaggio per le città del duce” (Editori Laterza). Ecco, quello che desiderava, e lo ha realizzato, Antonio Pennacchi. Il suo obiettivo, appunto, un viaggio, a tappe, “in cui uno parte e chissà che s’aspetta; poi arriva, vede, gira e si rende conto che le cose stanno in un’altra maniera”, scrive. Così, il lettore saputello e che invece si ritrova assai ignorante, si rende conto che di queste città del duce “prima” se ne conoscevano 12, in tutto, e invece si viene a scoprire che “adesso”, dopo il monitoraggio di Pennacchi, sono 147. Un libro che, lui ci tiene a sottolinearlo “è anche un po’ – anzi parecchio  – di Ivana Busatto, che oltre che fotografo è stata il vero ufficiale navigatore di questo viaggio. E non solo di questo, essendo pure mia moglie”. Assolutamente godibile, e questo la dice lunga su cosa aspetta nelle pagine “ciccia” del libro, la “presentazione aggratis” di Lucio Caracciolo, direttore di Limes, decisamente responsabile di questo libro da non perdere (poi capirete perché), per capire qualcosa in più che è successa negli anni bui del fascismo, forse con qualche luce, come la bonifica della paludi pontine su cui, dopo Mussolini, nessuno ha messo mano. “No bonifica, no Pennacchi, scrive Caracciolo. “Perché se non nasceva a Latina (Littoria) e non decideva di piantarci le radici, Pennacchi sarebbe (forse) stato un veneto del Veneto. Uno studioso revisionista di Caporetto, chissà. Delle città del Duce non gliene sarebbe importato nulla e questo libro non l’avrebbe scritto. Una catastrofe eistemologica… Di questo libro”, sottolinea ancora il fondatore di Limes, “non posso che dire bene. Primo, perché sennò Pennacchi mi mena. E io a botte le ho sempre prese. Secondo perché l’ho pubblicato a puntate sulla nostra rivista Limes… Terzo perché a me Pennacchi piace davvero. Come scrittore, per carità… Quarto perché Pennacchi ha dissepolto una pletora di “città” di cui avevamo perso la memoria, che non sapevamo come si chiamassero (vedi Littoria) e che non capivamo. Oppure ci era stato setto che facevano schifo e dunque schifo dovevano fare – il che già me le rendeva simpatiche”.

PennacchiE ora, qualche riga da parte di Antonio Pennacchi, quello con la verve e la grinta sempre pronta, rompiscatole, effervescente, con il suo basco e la sua sciarpetta rossa anche in estate, che speriamo lo tenga al caldo lì dove è andato. “Io nasco narratore. Storico mi ci sono dovuto fare perché non c’era nessun altro. Solo per questo. Il mio vero mestiere è quindi quello di scrivere romanzi e racconti. Letteratura. Finzione. Arte, diciamo così… Poi un pezzo ha tirato l’altro, e una città altre dieci…” Nel libro non ci sono solo riferimenti alla bonifica pontina, ma anche ad altri luoghi, come Guidonia, che si chiama così in onore del generale Alessandro Guidoni, che si schiantò al suolo nel provare un nuovo modello di paracadute. Lì si costruì negli anni Trenta un aeroporto, e poi via via quella che da allora sarà “la città dell’aria”. Scrive Pennacchi: “Ora io non voglio dire che Guidonia sia brutta. Anzi, no, è proprio bella per chi piace, e a me piace…”. Da vederla no?

Allora grazie, Antonio Pennacchi, anche per averci aperto (un po’) gli occhi.