Agadir e il suo terremoto sono un mezzo per raccontare una serie di personaggi curiosi, tra il grottesco e il surreale, eppure straordinariamente reali. Gashgaj, ad esempio: ne racconta Genfud, proprio all’inizio di questo libro edito da Acquario Editore e scritto dal polacco André Kaminski, scrittore, sceneggiatore, creatore di programmi tv e documentari, “Il terremoto di Agadir”. L’ambientazione è in Algeri, e l’io narrante (presente in ogni capitolo) descrive un gruppo di persone che si propongono per programmi televisivi. Tra gli uomini, appunto, c’è Genfud. Scrive l’autore: “Era il ventesimo, l’ultimo degli uomini. E fin dalle sue prime parole mi svegliai. Stava lì, di fronte a tutta la classe, si guardava le unghie e cominciò: «Vi racconto la storia di un nessuno di nome Gashgaj, che era brutto come me. E che non aveva mai toccato la pelle di una donna. Come me. Pensava sempre e soltanto alla tenerezza che nessuno voleva dargli»”.
E poi c’è Alì, arrivato dalle montagne in cerca della galera, perché così avrebbe potuto mangiare senza fare nulla, visto che la sua unica fonte di ricchezza, una capra, se ne va all’altro mondo. E trova le scosse del terribile sisma di Agadir: tra le macerie si trova tra roba buona da mangiare e da bere… e pensa di essere in Paradiso.
Tante storie, dunque, disegnate attorno a quel 29 febbraio 1960, quando “ad Agadir il mondo sprofondò”. Uomini, soprattutto, poche le donne ma inarrivabili come la già citata signora Zaui, tra scosse, rovine, natura “matrigna” e fine del colonialismo francese, che proprio benigno non fu. Ma algerini e marocchini, almeno come racconta Kaminski, tra le brutture (anche di loro stessi), sembra riescano comunque a tirare la carretta, più o meno con dignità.
L’editore Acquario ha fatto da poco la sua comparsa (nel 2019) tra le pagine dirette a lettori più che mai curiosi, soddisfatti anche perché ogni volume ha un Web Side collegato al testo da un codice QR che porta a una storia autonoma e a diversi linguaggi.
Un’ultima nota per ingolosire ancora di più il lettore, dal capitolo L’eroe e che proietta nel mondo (apparentemente, di nuovo) pigro, che “lascia fare al destino”, dei magrebini: “Il mercato aveva luogo al giovedì. Era mercoledì. Se non fossimo arrivati in giornata, avremmo dovuto aspettare. Perdere tempo. Otto giorni, e io non avevo tempo. In Europa impariamo a non avere tempo. Al contrario degli algerini, che stavano a guardare la mia fretta senza capire. Scuotevano la testa e continuavano tranquillamente a sognare”.