Il giacinto d’acqua che salva dall’inquinamento (e dalla miseria)

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Raccolta del giacinto nella foto di reporterre.net

 

 

Il suo nome scientifico è Eichhornia crassipes: si tratta del giacinto d’acqua, una pianta tropicale originaria dell’America meridionale, in particolare del Bacino Amazzonico, introdotta in tutto il mondo, provocando anche qualche problema, poiché è molto invasiva. Ha fiori lilla-violacei, con foglie spesse, posti su un bulbo galleggiante a filo d’acqua, che però colonizza molto velocemente. Fuori dal suo luogo di origine, infatti, non ha nemici che ne possano risparmiare l’espansione e così la pianta crea una barriera non solo per la navigazione, ma pure per il sole che non riesce a filtrare e dare il suo apporto alle piante indigene. Inoltre, la compattezza di questo giacinto impedisce il flusso normale dell’acqua e riduce il contenuto di ossigeno, togliendolo agli animali. Insomma, un vegetale bellissimo ma che mette ko la biodiversità degli ecosistemi dove riesce a proliferare alla grande. Un destino comune a tanti esseri “alieni”, vegetali e animali, che arrivati in luoghi a loro estranei non trovano competitori e tolgono respiro e vita a chi trovano.

Giacinto: da tôgblé a tognon

In Africa, però, esattamente in Benin, una startup locale ha avuto l’idea di trasformare le foglie del giacinto in una sostanza fibrosa capace di assorbire (fino a 17 volte il loro peso in idrocarburi) il petrolio sversato da oleodotti o navi: Green Keeper Africa essicca il giacinto, lo impacchetta e lo vende con il nome di Gksorb. Non è che il prodotto non inquina nulla, ma almeno lo fa di meno rispetto ad altri, produce minori quantità di scarto, e dà lavoro alle comunità locali. Green Keeper Africa è operativa dal 2014 e da allora ha iniziato ad utilizzare le sorprendenti proprietà del giacinto. Ha detto uno dei cofondatori, Fohla Mouftaou, che la filosofia di fondo è stata “trasformare questa piaga in un’opportunità” e per sostituire il termine beninese “tôgblé”, cioè “rovinato”, in “tognon”, ovvero “buono”.

giacinto fioreMa non è finita qui. Sempre in Benin, altra sorte ancora per il giacinto, grazie a Henri Totin, che si occupa di green economy e presiede la Ong Jevev (Jeunesse et Emplois Verts pour une Economie Verte), fondata nel 2010, come si legge in un articolo pubblicato da “Avvenire” qualche giorno fa, nonché nel sito di reporterre.net, addirittura del 2019, anno in cui l’organizzazione ha iniziato a tenere corsi di formazione de “Il percorso del giacinto d’acqua”, per ottenere quello che è stato chiamato “compost magico”, ovvero i resti del giacinto, in particolare delle radici, diventano un fertilizzante che concorre allo sviluppo sostenibile del territorio. Con i fusti si possono ottenere biogas e carta, con le foglie e gli steli vernici e inchiostri.

Henri Totin probabilmente sarà ad Assisi dal 22 al 24 settembre, nel corso delle giornate dell’evento “The Economy of Francesco”, in cui anche imprenditori come lui potranno raccontare che il cambiamento sostenibile è possibile, tenendo insieme economia e ambiente.