Un’altra sua definizione è “spaccasassi”, perché il bagolaro ha radici così grosse e robuste in grado di abbracciare le rocce dei terreni più duri, sgretolandole a poco a poco. E poi in alcune zone lo chiamano “arcidiavolo”. Come mai? La leggenda narra che Lucifero nella sua caduta verso gli inferi si fosse aggrappato a questo albero con gli artigli che sono diventati la forma delle sue foglie. Ma non è finita qui. Per alcuni il bagolaro è l’albero “dei rosari”: già, perché i suoi semi venivano usati un tempo per realizzare i grani del rosario, appunto.
Il bagolaro scientificamente è Celtis australis, appartiene alla stessa famiglia dell’olmo ed è famoso per la sua capacità di adattarsi ai terreni più aridi, sassosi, appunto, calcarei. Si trova fino a circa 800 metri di latitudine, in associazione con noccioli, carpini, ornielli, querce. È capitato di incontrarne uno in una passeggiata al giardino Aldobrandini che sta alla fine di via Nazionale, a Roma, qualche metro prima di arrivare al Quirinale. In quel piccolo gioiello inframmezzato da bellezze archeologiche e non, quel che resta di una vasta tenuta agricola (perché qui una volta c’era una vasta campagna), eccolo, un bagolaro non vecchissimo, ancora con i rami nudi imploranti verso il cielo. Quello che più ha colpito è la corteccia, leggermente variegata e liscia, liscissima, da accarezzare all’infinito. Bello.