Gli aspetti paleopatologici e storico-medici dello studio sono stati raccontati sulla prestigiosa rivista scientifica “The Lancet”.
Lo studio ha incluso pure l’esame macroscopico e la tac total body della mummia, effettuata presso la Clinica Barbantini di Lucca e, spiega Giuffa, “ha rivelato trattarsi di un giovane adulto di circa 25 anni. Sul cranio sono state rilevate due lesioni traumatiche con segni di lunga sopravvivenza: un taglio superficiale sul frontale lungo 5 cm, prodotto da una lama dentata, e una lesione ellittica con frattura depressa in corrispondenza del tratto di destra della sutura coronale, prodotta da un corpo contundente. Intorno a questa lesione è stato possibile osservare una cicatrice ossea con margini sottili di forma pentagonale, causata dal contatto di un ferro rovente, un cauterio a testa pentagonale, applicato probabilmente per arrestare l’emorragia dopo la toilette chirurgica”.
Come si curava il trauma cranico in passato
Si sa che la medicina medievale bizantina e araba faceva ampio uso del cauterio, ossia di un ferro rovente da applicare a una lesione o a una ferita a scopo terapeutico, anche in caso di trauma cranico. Era soprattutto il mondo islamico ad aver elaborato una dottrina medico-chirurgica che prevedeva in moltissimi casi il ricorso alla cauterizzazione. Un intervento, questo, che aveva il merito di limitare l’effusione del sangue, così come prescritto dalle leggi coraniche. Uno dei maggiori chirurghi islamici del X-XI secolo, lo spagnolo Albucasis, nel celebre trattato “al-Tasrif” descrive con dovizia di particolari le modalità d’uso del cauterio. Nonostante queste attestazioni storiche, rarissimi sono i casi paleopatologici di cauterizzazione individuati direttamente sui resti umani antichi.
A proposito dei cauteri: avevano forma variabile, rotondi, a oliva, quadrati o poligonali, a seconda del loro impiego e dello scopo dell’intervento, ma finora non era stata trovata una prova diretta così evidente di questa pratica chirurgica. Sottolinea Antonio Fornaciari, docente del Corso di Perfezionamento sullo Studio delle Mummie a Pisa e primo autore del lavoro: “San Davino nella tradizione popolare era il santo invocato per la guarigione del mal di testa. Fino a qualche decennio fa i devoti erano soliti andare a venerare il corpo e indossavano il cappello di San Davino per ottenere la guarigione. È interessante aver trovato sul suo cranio l’evidenza di due gravi traumi cranici, di cui uno con evidenza di trattamento medico. È evidente che Davino soffrì di gravi emicranie a seguito dei traumi e che dunque la tradizione ha una relazione con episodi della sua vita realmente accaduti”.
Ma chi era Davino, i cui resti sono stati così importanti in questa scoperta? Nelle fonti agiografiche si legge che, originario del Regno d’Armenia, giunse a Lucca nell’anno 1050, dopo un lungo pellegrinaggio che lo avrebbe condotto prima a Gerusalemme e poi a Roma. Morì a Lucca improvvisamente sulla strada per Santiago de Compostela. Il corpo, conservatosi miracolosamente, divenne presto oggetto di grande venerazione ed è stato conservato per secoli nell’altare maggiore della basilica di San Michele in Foro.