Medicina Narrativa: così si omaggia il malato (e il medico)

È stato finalmente pubblicato in italiano il testo “Medicina narrativa” (Raffaello Cortina Editore, € 25). L’autrice è Rita Charon, medico internista  e studiosa di letteratura, ma soprattutto un punto di riferimento di questa metodologia la cui validità sta nel dare uno strumento in più ai medici nell’affrontare (e combattere) le malattie. Spesso (quasi sempre) per i pazienti è difficile trovare le parole giuste per raccontare, spiegare i loro sintomi. Allo stesso modo è difficile per il medico capire semplicemente ascoltando.

Medicina Narrativa

E qui entra in gioco la medicina narrativa: non un medico che, volendo fare lo scrittore”, butta giù i capitoli di un romanzo. Tutt’altro. Un medico che ascolta, prende appunti, li mette a posto, dà loro un senso, riconduce gli spezzoni di parole a un quadro clinico preciso. Non è un esercizio letterario, ma la ricerca di una precisione di ciò che sta succedendo a “quella persona”, che non è un numero vago. E in tal modo, sottolinea Rita Charon, i medici “onorano le storie dei pazienti”. Perché questi ultimi possono sentire di essere compresi dagli specialisti che a loro volta possono aggiungere un ulteriore tassello alle cure adeguate, anche una soddisfazione professionale, dunque. Per chi, come chi scrive, non è un medico ma un paziente e familiare di pazienti, è commovente leggere a un certo punto nel libro di Charon la storia di una donna di 85 anni che tra i suoi tanti acciacchi della sua lunga vita, piange davanti al suo medico, sopraffatta non tanto da questi dolori ma da quelli legati alla famiglia. “Piango con lei. Anche se non sono capace di misurare la profondità del suo strazio, lo rispetto. Mi parla della sua angoscia perché per lei è terapeutico. La vedrò la settimana prossima, e quella seguente, non perché ci sia qualcosa da mettere a posto, ma semplicemente per starle accanto, per ascoltarla…” Per Charon la medicina narrativa può concentrarsi non solo sui fatti ma sui contesti “in cui i fatti stessi sono raccontati”. Può accadere, accade spesso, che un malato “migri” da un medico all’altro, che porti con sé l’incredibile peso, in ogni senso, delle sue cartelle cliniche. Mettersi lì, riallacciare i fili dei racconti clinici che escono fuori da questi documenti, per il medico può davvero contribuire far luce su un certo disturbo. E in questa ottica, i “narratori” sono tanti. Pazienti, famigliari, amici, infermieri del proto soccorso, operatori sociali, vari professionisti “che avevano scritto qualcosa nella cartella clinica o che avevano dettato i fogli di dimissione. Ascoltavo e leggevo indizi diagnostici, insieme con dati autobiografici”, scrive Charon, “che mi aiutavano non solo a identificare l’origine, biologica o emotiva, di certi sintomi, ma anche a capire l’altra persona , tra le connessioni che cominciavano a crearsi”. Ecco, creare le connessioni, collaborare con i colleghi, accompagnare il paziente insieme con la sua famiglia lungo la sofferenza: e così le cure sono più etiche ed efficaci. Riconoscere, recepire, interpretare le storie dei malati e reagire di conseguenza. Insomma, qui, in questo “Medicina narrativa” si disegna la figura del medico che “ha un rapporto” con chi cura, che non rimane freddo, scostante, nei confronti della sofferenza di cui è circondato, da cui probabilmente non vuole lasciarsi coinvolgere. Un atteggiamento umano, certo, ma lo è anche considerandosi “soltanto” un essere umano che vuole aiutare un altro essere umano. “Riconosciamo e ci assumiamo la responsabilità etica dell’ascolto, sapendo di essere in debito perché anche noi siamo stati ascoltati. È questa la cura, che rappresenta già una ricompensa in sé, perché la nostra sofferenza aiuta i pazienti a sopportare la loro. La cura”, conclude Rita Charon”, che non ci esaurisce ma ci rigenera, che ci avvolge con grazia, con coraggio e con gioia dandoci un senso”. Mica male, no? Lettura consigliata a tutti, anche ai non medici.