Senza dubbio fanno parte di quello che gli esperti chiamano agricoltura “eroica”, questi uliveti terrazzati di Vallecorsa, tra la provincia di Frosinone e quella di Latina, una “valle solitaria” selvaggia, bordata dalle cime dei monti Ausoni, dai profili variegati, un po’ dolci un po’ ripidi. Sono quel che resta di una struttura calcarea i cui massi appaiono qua e là in uno scenario dalla vegetazione aspra, quasi di steppa, fortemente modellato dai fenomeni carsici e proprio per questo caratterizzato da una scarsa presenza di acqua. Ambiente difficile che però l’uomo ha saputo addomesticare ai suoi bisogni in modo armonico: è così che sono nate le macére (come dicono qui a Vallecorsa), ovvero questi muretti a secco che almeno dal 1327 (lo testimoniano documenti storici) hanno permesso di coltivare gli ulivi. I pendii sono stati lavorati per ricavare appunto dei terrazzi, dopo aver cavato le pietre, usando la terra proveniente dal fondovalle, sostenendola poi con la costruzione di questi muretti a secco, impiantandoci gli ulivi che, beninteso, sbucano anche qua e là tra i massi calcarei la cui presenza è ovunque, in un paesaggio di pietra incredibilmente affascinante. Gli uliveti terrazzati di Vallecorsa fanno parte dei paesaggi rurali storici italiani e sono considerati patrimonio immateriale dell’umanità dall’Unesco, in quanto realizzati con una vera e propria “arte dei muretti a secco”: per questo vanno tutelati, salvaguardati ma anche vissuti, perché tuttora dagli alberi si raccolgono le olive e poi l’olio extravergine. Non solo uno spettacolo meraviglioso da godere ma pure coltivazioni da mantenere, sempre a rischio di scomparsa perché non c’è più molta gente che se ne occupa. È una fatica, scendere e salire tra i terrazzi e le pietre, altrettanto tenere in perfetta forma i muretti che mostrano anche segni di franamento e abbandono. Eppure, conservare questa testimonianza di sapienza umana che non ha demolito il territorio è essenziale per limitare il dissesto idrogeologico e non perdere pure tutto quel patrimonio di biodiversità di flora e fauna tipico dell’ecosistema dei muretti di Vallecorsa, in cui si origina umidità che permette la vita dei tanti organismi. A Vallecorsa da qualche anno c’è la Cooperativa La Carboncella, nata da un gruppo di persone decise a promuovere la storia e la cultura dell’olivo, continuando a parlare di come si produce in modo eroico, ma anche cercando di non disperdere l’enorme patrimonio di saperi e tradizioni ad esso collegati. E anche, perché no, convincere i più giovani a interessarsi di più agli uliveti terrazzati, rimettendoli al centro delle loro vite, anche dal punto di vista professionale. Una delle anime della cooperativa è Ernesto Migliori, incontrato durante un’escursione sulle tracce appunto dei terrazzi di Vallecorsa. Davvero una incredibile miniera di notizie, tra cui quella del nome della cooperativa che, ha spiegato Ernesto, è nato come un omaggio… sbagliato a una cultivar di oliva, la carboncella. Sbagliato? Eh sì, perché si è scoperto, soprattutto in seguito all’analisi di un testo del 1840 a opera di un medico naturalista di qui, Francescantonio Notarianni, intitolato “Memoria sulla Mosca degli ulivi”, che non è lei la cultivar tipica di Vallecorsa, bensì la vallecorsana, il cui olio è piccante ma dolce allo stesso tempo. Una varietà autoctona che resiste alla grande sui terreni rocciosi di Vallecorsa, ha un accrescimento lento e regala 20 litri di olio a quintale.
Ultima nota: nella zona di Vallecorsa si rifugiò tra il 1943 e il 1944 lo scrittore Alberto Moravia con la moglie Elsa Morante. Il paesaggio di pietra gli ispirò la storia de “La ciociara”, libro pubblicato nel 1957 e da cui Vittorio De Sica trarrà il film omonimo, interpretato da Sofia Loren e premiato dall’Oscar nel 1962.