Giardini in tempo di Guerra

Guerra e Giardini: sono incompatibili? No, a leggere le pagine di questo “Giardini in tempo di Guerra” (Ponte alle Grazie), che ha un chiarificatore sottotitolo “Il giardino è il rifugio dell’uomo, il suo santuario”. Lo ha scritto Teodor Cerić e lo ha curato Marco Martella, conosciuto ai cultori del verde in quanto storico dei giardini, scrittore e direttore della rivista francese “Jardins”. Il libro raccoglie qualche scritto di Cerić di cui si hanno davvero scarse notizie.giardini in tempo di guerra Non cercatelo su Internet, non troverete nulla, piuttosto si potrà scoprire qualcosa su di lui attraverso queste pagine di “Giardini in tempo di Guerra”. Come direttore di “Jardins” Martella decide di contattarlo dopo aver sentito parlare da un amico scrittore, Alessadro Iovinelli, traduttore di alcune poesie di Cerić, del suo giardino, una specie di piccola giungla “sperduta in mezzo ai campi di grano” di Serajevo. Sì, perché Cerić ora di occupa di giardini a tutto tondo, non più di poesia (o almeno non alle luci della ribalta, la sua ultima raccolta è “Soltanto il poetico può uccidere la poesia”), la sua concentrazione è tutta rivolta allo spazio verde che ha  costruito e che per chi legge assume un’allure estremamente fascinosa. La genesi di questa pubblicazione è questa: Martella insiste affinché Cerić gli invii qualcuno dei suoi testi, racconti dei giardini che ha visitato da quando, nella primavera del 1992, mentre i serbi si mettono a cannoneggiare Serajevo, Teodor riesce ad aggirare il blocco militare e viaggia attraverso l‘Europa, senza meta, per poi ritornare a fine guerra nella sua Bosnia Erzegovina. Il direttore di Jardins riesce nel suo scopo e ci racconta che Cerić è un po’ perplesso davanti alla prospettiva di fare di quegli articoli un volume. Accetta, ma sottolinea un elemento importante: “La sola cosa che le chiedo è di evitare i titoli leziosi che si danno spesso ai libri sui giardini. Lo intitoli semplicemente Giardini in tempo di Guerra”. Ed è così che a noi arrivano quelle narrazioni. Chi aprirà il libro pensando a descrizioni di giardini famosi, qui, rimarrà deluso. Quello lo fanno in tanti. In “Giardini in tempo di Guerra” si parla di angoli sconosciuti, dimenticati, scoperti all’improvviso. Come il Prospect Garden, creato dal regista Derek Jarman non molto tempo prima di sapere che sarebbe morto di Aids. Cosa c’è di più bello che pensare a un giardino che vivrà anche quando noi non ci saremo più, quando la guerra della nostra esistenza avrà definitivamente vinto su di noi? Bene, Jarman crea il suo particolare Eden in una landa desolata, nel Kent, sul mare, mentre all’orizzonte si stagliano in un panorama tragico le sagome della centrale nucleare di Dungeness, senza recinti, aperto agli sguardi ma pure alla benevolenza (o meno) degli agenti atmosferici. Aiuole fatte di sassi, con i legni slavati dall’acqua e dal tempo e i ferri pieni di ruggine, piante trovatelle o indigene, in un mosaico di luci e colori, nonostante tutto. E ogni pezzo è pensato e costruito a ricordo di un amico che se n’e andato: un giardino che ricorda la morte ma che è un vero inno alla vita. Oggi il progetto di Jarman rischia di scomparire ed è stata lanciata una raccolta fondi, #saveprospectcottage e anche una pagina di crowdfunding su Art Fund. Per vincere la guerra dell’oblio. E Cerić ricorda, nel raccontare anche di Prospect Cottage, di quando piantava, seminava, potava assieme al padre, in una Serajevo ancora lontana dal disastro, una memoria felice che nessuna guerra toglierà di mezzo. Un orto all’ombra di un palazzone comunista di 20 piani, in cui il giovane Teodor impara anche a osservare il modo “in cui le piante spuntano dalla terra e crescono insolentemente verso il cielo. Sì, dissi a me stesso… vale sempre la pena di piantare un giardino. Se ci rimane soltanto poco tempo, se il mondo intorno a noi vacilla e la morte, sotto tutte le sue forme, avanza, non ci resta che fare di un angolo di terra, poco importa quale, un posto accogliente, un luogo per più vita”. Una guida, sì, una davvero particolare guida (c’è anche il riferimento al giardino di Monte Caprino, sul Campidoglio a Roma, che lui riuscì a vedere e ora chiuso per ragioni di sicurezza), questo “Giardini in tempo di Guerra”, dove l’emozione si annida in ogni punto verde, anche lì in cui sembra non esserci più poesia.