Insetti saporiti da mangiare

Mangiare gli insetti

On Eating Insects - Mangiare gli insetti

 Individuare cibi diversi e apparentemente nuovi come gli insetti (che mangiavano i nostri antenati e di cui si nutrono oggi tante popolazioni nel pianeta) significa trovare anche una risorsa gastronomica del futuro.

Un libro realizzato dal Nordic Food Lab, prestigioso laboratorio di ricerca culinaria che collabora con l’Università di Copenaghen (“On Eating insects. Essays, stories and recipies”, edizioni Phaidon), mette a punto una serie di storie e ricette con al centro le grandi possibilità mangerecce degli insetti, con un occhio alla cucina e uno alle tradizioni e alle culture in cui sono tuttora importanti nella dieta.

Tra gli autori, assieme a Josh Evans e Michael Bom Frøst, un nome italiano, sardo per l’esattezza: Roberto Flore, 34 anni, chef di Seneghe in provincia di Oristano. Oggi è un vero esperto mondiale in ricerche gastronomiche sull’entomofagia. Da sempre attento alla biodiversità di una cucina legata ai sapori tradizionali delle erbe, Flore non poteva non cercare di far conoscere al mondo il “casu marzu”, quel formaggio marcio con i vermi, che è una tipicità sarda. Così, portata la prelibatezza al Nordic Food Lab, ne è diventato parte importante per sviluppare queste forme nuove di cibo.

Se i Europa, soprattutto in Belgio e in Olanda, già ci sono aziende che allevano insetti destinati al consumo umano, in Italia è ancora tabù, non solo produrne ma ovviamente mangiarne. Eppure, come segnalato più volte, dal punto di vista nutrizionale gli insetti si presentano ricchi di proteine, acidi grassi insaturi, minerali, dal calcio al ferro al magnesio.

Al momento sono miliardi le persone che sulla Terra si nutrono normalmente di insetti, di vario tipo, dalle cavallette ai grilli ai maggiolini, alle api. Si possono anche mangiare i fuchi, i maschi delle api, oppure i bachi che dopo aver prodotto la seta vengono buttati via. E con tante modalità di preparazione.
Comunque, il formaggio sardo con i vermi testimonia alla grande che certe abitudini alimentari c’erano (anzi, ci sono) anche da noi.