I busti del Pincio raccontano

Il valore dei busti del Pincio

I busti del Pincio

 Sottovalutati, vandalizzati, dimenticati: signori, ecco i busti del Pincio, a Roma, di cui un libro celebra il ricordo.

Si chiama infatti ‘I busti del Pincio-Nel giardino della Memoria alla ricerca della nostra perduta identità’ il volume di oltre 200 pagine edito da Gangemi (€ 21,99) e scritto da Stefano Gasbarri, architetto di professione che, scrive, ha avuto “la fortuna di nascere, di abitare nel centro storico di Roma” e, soprattutto, di essere “affascinato dall’ineguagliabile patrimonio artistico che i nostri più illustri Antenati ci hanno tramandato”.

Per l’autore, il giardino del Pincio è un “Grande Libro di Storia e di Cultura inciso nella pietra” rappresentato da 228 busti marmorei di letterati, artisti e scienziati che hanno fatto dell’Italia la Nazione Eterna. Sembra che l’idea di realizzare questa opera così particolare sia stata di Giuseppe Mazzini, nel lontano 1849, il tempo della non fortunata Repubblica romana. L’esimio personaggio avrebbe fatte sue le richieste di un gruppo di scalpellini disoccupati di Trastevere: un problema e una immediata risoluzione, davvero altra epoca, eh?

Tornando ai busti, quando il papa Pio IX ritornò al suo posto, trovò su uno dei terrazzi più belli di Roma 58 statue, alcune delle quali furono prontamente sostituite, tipo Niccolò Macchiavelli con Archimede, Girolamo Savonarola con Guido D’Arezzo, tutti ritornati al loro posto, in aggiunta a tanti altri eroi, dopo che arrivò il Regno Sabaudo, all’indomani del 20 settembre 1870. L’ultimo busto collocato lì risale addirittura al 1860: con la sagoma di Sidney Sonnino.
L’architetto Gasbarri ha indagato 6 anni per trovare informazioni e notizie su questi busti capitozzati e deturpati, convinto di regalare un giusto ricordo ai grandi italiani che ‘hanno fatto l’Italia’, in un modo o nell’altro. Con l’obiettivo di stimolare “un più profondo interesse nei confronti di quei protagonisti che da oltre duemila anni hanno contribuito in maniera rilevante al progresso della Civiltà”. E anche, perché no, a fornire specialmente ai giovani, ma non solo, uno strumento di conoscenza per recuperare la nostra perduta ma non sepolta millenaria identità.